Ci sarebbe bisogno di dare il via ad una battaglia nazionale sui salari. Ma la Sinistra ufficiale parla tramite Carlo Calenda, ex dipendente di Confindustria.

Qualche settimana fa ho avuto l’ardire di parlare di salari. L’ho fatto un po’ imbizzarrito, ammetto, dal fatto che alcuni (Confindustria, Boeri e altri) notavano che molti italiani che lavorano prendono più o meno come il reddito di cittadinanza. Pareva dagli accenti, dalle sfumature, e a volte anche da affermazioni dirette, che ciò fosse gravemente lesivo del libero mercato che – prendendo un disoccupato una certa cifra – non avrebbe potuto comprimere di più ancora i salari. Una specie di concorrenza sleale tra disoccupati poveri e lavoratori poveri su cui i “poveri” imprenditori versavano accorate lacrime. Mal me ne incolse, perché sono stato subito dopo apostrofato da Carlo Calenda , che chiedeva – a me! – idee su come alzare i salari. Un ben strano modo di intendersi esperti del ramo, un po’ come se l’elettrauto mi chiedesse col ditino alzato: “Beh? Come si monta questa cazzo di batteria? Me lo dica, non stia lì solo a criticare!”. Non fa una piega. Segnalo comunque che nelle settimane intercorse si sono ascoltati tutti discutere su come abbassare il reddito di cittadinanza, e nessuno su come alzare i salari, quindi diciamo così che a pensar male, a volte, ci si azzecca.

Ora che il Pd abbia affrontato un congresso per decidere dove andare, non è male che qualcuno, là dentro, rifletta sul tema della diffusa rabbia sociale. Un grande partito sa incanalarla, farne strumento di pressione, volgerla verso decisioni meno inique. Mentre il Pd, per quello che si è visto e sentito, l’ha guardata crescere come la mucca guarda passare il treno. E in qualche caso, anzi, ci ha messo del suo per fomentarla di più. Dal 2010 al 2017 (governi Berlusconi, Monti, Letta, Renzi, Gentiloni) i salari reali sono calati del 4,3 per cento (fonte: Sole 24 ore), un dato che dice tutto, a proposito di incazzatura della gente. Se, poi, volete sommare altri numeretti, che sono noiosi ma spiegano l’ampiezza del problema, sappiate che un italiano su tre dichiara meno di 10.000 euro l’anno, cioè una cifra insufficiente a campare degnamente. Si aggiunga la questione del lavoro “sovraistruito”, cioè quel 35% di lavoratori, diplomati e laureati, che hanno un’occupazione non adeguata al titolo di studio. Insomma, per fare un esempio : ingegneri che consegnano pizze, etc.

E del resto, quando si trattava di ingolosire investitori esteri a venire qui (ottobre 2016), il Ministero dello Sviluppo Economico stampò e diffuse delle belle brochure colorate dove si leggeva: “Un ingegnere in Italia guadagna mediamente in un anno 38.500 euro, mentre in altri Paesi lo stesso profilo ha una retribuzione media di 48.500 euro l’anno”. Tradotto: venite qui che costiamo meno, veniamo via con poco, due cipolle e un pomodoro. Un vero e proprio vanto (ancora da quella brochure): “I costi del lavoro in Italia sono ben al di sotto dei competitor come Franciae Germania”. !Pensate che culo !  Eh! Mi pare di ricordare che il Ministro era – lo dico senza sarcasmo – Carlo Calenda.

Ora, per farla breve, bisogna capire come il salario (che si sognava, a sinistra, variabile indipendente) sia diventato variabile dipendentissima, subordinata e in ginocchio, mentre a diventare variabile indipendente (cioè intoccabile) sono i profitti e le rendite. Capire,insomma come è potuto accadere. E magari anche intervenire con una vera manovra urgente: riequilibrare la voragine che si è aperta negli ultimi 25 anni nel reddito dei lavoratori italiani, coloro che hanno pagato e continuano a pagare la crisi. Quali forze politiche oggi vogliono e possono prendere questo problema e farne concretamente il centro della loro azione? A seguire le posizioni  politiche illustrate nei talk-show si direbbe nessuna. Eppure, a proposito di popolo e populismo, quella sui salari sarebbe una battaglia assai popolare, a patto di ridirigersi un po’ verso sinistra (il Pd) o decidere di andarci (i 5 stelle). Chissà, forse disegnare intorno al lavoro (dignità, salari, diritti) una qualche politica di medio-lungo termine, invece di stare appesi alle battaglie dello sceriffo Salvini ed alle chiacchiere da talk-show. Sarebbe cominciare a vedere una luce in fondo al tunnel della crisi politica ed economica italiana.

3 Commenti a “La battaglia sui salari:” :

Proprio ieri è uscito un articolo in cui l’ennesima azienda, informatica, stavolta, si lamentava della mancanza di gente disposta a lavorare a stipendi “nella media dei competitors” (sic). Dai commenti che seguivano è emerso in modo inequivocabile che:

– alcune aziende nel settore IT hanno stipendi bloccati dal 2008 ;

– altre considerano un ingegnere informatico come poco più di un metalmeccanico avanzato (inizio carriera stipendi di 1400 o poco più)

-più una domanda latente “perchè lavorare a condizioni simili quando ovunque in Europa si hanno opportunità molto più interessanti ?”

E generalmente in tutti questi articoli sui famosi imprenditori, siano panettieri o manager di grosse aziende, che non riescono a trovare lavoratori, emergono sempre delle condizioni di lavoro, magari non umilianti, ma fortemente limitate (stipendi stabili, nessuna possibilità di progesso, di carriera, orari intensi…).

da Sebastiano   – giovedì, 28 febbraio 2019 alle 11:06

Sono ateo, ma non ho difficoltà a riconoscere che a FARE qualcosa di sinistra, in Italia, sono rimasti solo alcuni preti. I politici sedicenti di sinistra – PD e LeU – sono solo dei borghesucci, buoni solo a cianciare se fanno qualcosa, è ancor peggio : fanno qualcosa di destra, ovvero a favore dell’ingiustizia sociale (in particolare negli anni dei governi Monti, Letta, Renzi, Gentiloni). Oltre 50 anni fa don Milani era durissimo nei confronti dei borghesi sedicenti di sinistra. La sua critica mi pare sempre attualissima davanti a quel che FANNO / HANNO FATTO persone come padre Zanotelli e don Ciotti. Di fronte loro, tutti i politici sedicenti di sinistra spariscono, sono solo insignificanti nanerottoli blateranti a vuoto

da giovanni   – giovedì, 28 febbraio 2019 alle 11:10

La situazione la fotografo come un cane che girando su un palo vuole mordersi la coda, pare stucchevole come prosperi la cieca tendenza a far sbattere il Paese contro un muro.Più il lavoro renderà miserabili le persone e più l’economia risulterà stagnante.

Un tetto ai guadagni di manager per redistribuire la ricchezza in ogni azienda pare assolutamente necessaria, pur mantenendo la giustissima meritocrazia, ci mancherebbe, ma non è accettabile che per quanto una figura sia importante, debba guadagnare come migliaia di persone in taluni casi (Fca insegna).

Tenendo ben presente che il costo del lavoro in Italia risulti caro rispetto ad altre realtà europee, pur avendo stipendi medi più bassi, la differenza la fa la pressione fiscale, se si arriva a pagare il 40% di tasse, e il 50% se si supera una certa soglia, è una mostruosità a mio giudizio.

Inoltre, studierei molto bene la possibilità di far lavorare più persone riducendo l’orario di lavoro, con meno pressione fiscale si riuscirebbe a ottenere anche questa opportunità.

Chissà se le due forze che lei ha citato finalmente decidessero di non farsi più i dispetti, e affrontassero queste problematiche, anche perchè se si veste da operaio il felpato, al massimo si imbuca subito dal titolare per mettersi d’accordo…

da Ivo Serenthà   – giovedì, 28 febbraio 2019 alle 12:32

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