Titoli spazzatura e debiti fuori bilancio. Palermo, Catania e Messina sul baratro?

Uno “spettro orrido e malefico” si aggira per i ministeri dell’Economia e degli Interni:  l’incommensurabile e sconosciuta massa del “deficit straordinario” dei Municipi italiani. Di tutti, al  Nord come al Sud. Una “epidemia” che ha travalicato meridiani e paralleli. Giunte di destra e giunte  di centrosinistra. Un debito esasperato, non tanto dalla pur cospicua massa dei mutui istituzionali  pendenti, anche se ormai al di sopra del limite di legge del 12% della parte corrente di ciascun bilancio comunale. Non tanto riferito ai fisiologici deficit di gestione ordinaria. Ma a due voci  speciali ormai fuori controllo: i “debiti fuori bilancio” e l’ammontare dei “titoli finanziari tossici”  (derivati e consimili, figli della new finance liberista). Che con estrema leggerezza, ed spesso  illegalmente, assessori politici e ragionerie comunali kamikaze, hanno voluto sottoscrivere negli anni passati. Il tutto, ovviamente, al netto dell’ulteriore totale di deficit esistente delle sopravvissute  municipalizzate, e/o aziende partecipate o controllate. Pare che la vicenda riguardi almeno il 70%dei comuni italiani. Maroni ne è moderatamente preoccupato. Mentre a Tremonti tutto ciò provoca  brutti incubi notturni.

Nel Governo come in Parlamento l’argomento è tabù; non se ne parla. Anzitutto perché  politicamente imbarazza tutti. Poi, perché, ancora oggi, le apposite task-force del Ministero  dell’Economia non sono riuscite a venire a capo delle ricognizioni che Tremonti ha ordinato, è onesto dirlo, per tempo. Di sicuro rasentano un ordine di grandezza da contabilizzare nell’ordine di miliardi di euro.

Alti funzionari del Ministero dell’Economia che seguono (con ruoli di responsabilità) le ricognizioni minimizzano, indicano, nasologicamente, una fastidiosa, ma a loro detta non  allarmante, cifra attorno i 10 miliardi. Altri funzionari ministeriali che partecipano alla ricognizione (lavorando sul campo), non escludono che l’affaire si aggiri su una cifra totale, sì nell’ordine di miliardi, ma ad almeno tre cifre. Spiegano, infatti, che i comuni (dopo la riforma delle P.A. degli anni 90 e aggiunte seguenti) oltre a ritrovarsi classi dirigenti – politiche e tecniche – incapaci ed irresponsabili, sono stati condotti per mano verso il baratro dalle costanti pressioni esercitate da decine di banche (italiane e straniere), che in questi tipi di contratti (per l’utilizzo dei nuovi strumenti finanziari), caratterizzati da grandi storni di commissioni, avevano trovato il loro eldorado. Un pozzo senza fondo da cui pescare facilmente utili certi per i loro bilanci, e premi di produzione e di incentivazione per le tasche dei funzionari di banca addetti a queste operazioni.

Per chiudere la premessa generale di questa inquietante vicenda tutta italiana, è il caso di parlare del quadro tecnico che ha permesso agevolmente il proliferare silenzioso di questo cancro finanziario negli enti locali italiani: la maniera anarchica, e spesso purtroppo mendace, con la quale – alla faccia della contabilità di Stato – vengono compilati i bilanci dei comuni. Un malo andazzo, incentivato da un sistema di sanzioni ridicole e comunque scarsamente applicate. Mentre progressivamente, la Corte dei Conti sembra abbia rallentato sia i controlli che la severità con la quale giudica quegli amministratori e funzionari che incappano in questi tipi di vicende.

In ogni caso, i comuni italiani, specie al Sud ed in Sicilia mostrano di avere una distorsione strutturale aggiuntiva, quasi onnipresente: l’esagerato numero dei dipendenti di ruolo e/o precari.

Ecco che nonostante la “obbligata tolleranza politica” dello Stato centrale, aumentano il numero dei comuni che, nonostante tutto, si stanno avviando ufficialmente alla soglia del “dissesto finanziario”. Allora, viene spontaneo chiedersi come stanno, finanziariamente, i bilanci dei tre grandi comuni siciliani: Palermo, Catania e Messina. Tentiamo una comparazione utilizzando solo  alcune voci di bilancio significative.

PALERMO. Dichiara solo 30 milioni di debiti fuori bilancio. Addirittura di non possedere alcun “titolo tossico”, l’assessore Sebastiano Bavetta ci dice “zero”. Una massa di mutui per 350 milioni, al di sotto del rapporto del 12% previsto dalla legge. Una massa totale di bilancio di parte corrente di 820 milioni. Naturalmente, il Comune ignora la quantificazione dei debiti delle società partecipate (le ex municipalizzate), attendendo di compulsare i nuovi annuali documenti finanziari e le pari relazioni al Comune loro azionista di maggioranza. Sul fronte del personale, i dipendenti  di ruolo sarebbero circa 6.500, con un pacchetto di precari residui di 3.500 unità (LSU di vario tipo, contratti formativi, etc), per cui lo Stato dovrebbe consentire a breve la stabilizzazione definitiva.

Eppure, sono in tanti a giurare che le cose non stanno esattamente così. Al più presto, vi renderemo conto anche di queste altre versioni. Soprattutto per chiarire un giallo: se Bavetta e Cammarata  forniscono dati certi sul sostanziale equilibrio dei conti comunali, perché il Comune ha frequenti  crisi di liquidità, e taglia l’acquisizione di beni per se e servizi pubblici per i cittadini? E ancora perché il sindaco Cammarata è impegnatissimo in una operazione di pubbliche relazioni per  catturare l’attenzione di Lombardo e Berlusconi per ottenere altri finanziamenti fuorisacco, come i primi 80 milioni già stanziati per coprire il primo buco accertato l’anno scorso all’Amia?

CATANIA. Non dichiara. E’ sull’orlo del precipizio. Quintali di documenti finanziari sono stati sequestrati dalla Procura della Repubblica di Catania che, sulla materia del bilancio e delle spese comunali, ha aperto cinque o sei inchieste. Ma a pizzichi e smozzichi qualcosa si riesce a sapere. I debiti fuori bilancio dovrebbero oscillare tra gli 80 ed i 180 milioni. I titoli derivati posseduti sono sotto il mezzo milione ( loro dicono che addirittura ci hanno guadagnato). Mentre, il totale della massa dei mutui pendente giungerebbe ai 750 milioni a fronte di una massa di bilancio di parte corrente di appena 450 milioni. Sul fronte personale i dipendenti di ruolo dovrebbero essere 4.100, mentre i precari sono circa 250, che entro Dicembre saranno stabilizzati in base alla legge Prodi del 2006, tanto che un accordo già definito è stato firmato con le confederazioni sindacali.

Ma sul bilancio del comune di Catania resterebbe sospesa la spada di Damocle “dell’Ufficio Poteri speciali”. Il cui contenuto delle carte finanziarie conosceva solo l’ex Sindaco Scapagnini, che a nessuno le faceva vedere, perché egli sosteneva che l’Ufficio – ancorché comunale – avrebbe dovuto rendicontare le sue spese ed attività solo a Palazzo Chigi, da cui era giunta la nomina a Commissario straordinario alle grandi opere pubbliche a Catania.

MESSINA. Anche qui, non si trova chi dichiari ufficialmente. Però, leggendo le più recenti  inchieste di Milano Finanza e del settimanale 109, se ne scopre la ragione. La pentola del bilancio ribolle: sono ben 55 milioni i debiti fuori bilancio, e – udite, udite – addirittura poco più di 200 milioni di titoli da scommessa finanziaria new finance (forniti dalla BNL e dal DEXIA CREDIOP).

Manca un dato ufficiale sulla massa dei mutui pendenti, a fronte di una massa di bilancio per la parte corrente di poco oltre i 500 milioni. Sul fronte del personale, i dipendenti di ruolo sono 2.022 (su una pianta organica revisionale di 3.092 unità) con un pacchetto di circa 400 precari. Un numero che potrebbe ancora ulteriormente allargarsi, se vi confluiranno anche le 150 unità di lavoratori, provenienti dalle appena disciolte cooperative addette sussidiariamente alla fornitura di taluni servizi sociali.

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