La Cina di Xi Jinping è la nuova “regina” del mondo e adesso ce ne siamo accorti pure noi italiani.
Con questa visita in Italia così ben coreografata, Xi Jinping ha voluto trasmettere anche un messaggio di potenza. Macron e Merkel l’hanno capito. L’Europa si trova nel guado: gli Usa la bastonano, ma il contrasto fra Trump e Cina offre l’opportunità di buoni guadagni alle economie europee in recessione e il mercato cino-europeo è florido. Che fare?
Certo che fa ridere. Negli anni Sessanta e Settanta lo si diceva anche se non era vero. Oggi, per realizzare che davvero “la Cina è vicina”, abbiamo dovuto aspettare che ci arrivasse in casa, nella forma del suo presidente Xi Jinping, della consorte Peng Liyuan, di un’aeroplanata di notabili del Partito comunista, diplomatici e industriali, di un corteo da cinquanta macchine e di un progetto, quella della Nuova Via della Seta, che le cronache un po’ isteriche di questi giorni descrivono un po’ così: un treno, con relativo pennacchio di fumo, che si ferma sbuffando a Roma Termini e fa scendere i reparti dell’Esercito Popolare di Liberazione arrivato a sequestrare la Fontana di Trevi.
Al subbuglio generale, così pervasivo da far paragonare (ai soliti imbecilli con diritto di sproloquio, senza remore e senza vergogna) l’Italia al Bangladesh e alle Maldive, ora pieni di debiti con la Cina, ci è arrivati addosso l’improvviso allarme dell’Unione Europea. Ok, va bene, l’Italia è nel G7, gli Usa non sono contenti, i cinesi sono maestri nel confondere il pubblico con il privato e nell’usare l’economia come braccio (dis)armato della politica. Però, come stanno le cose ?
L’Italia (dati ministero degli Esteri 2017) esporta in Cina 13,5 miliardi di merci (più 22% sull’anno prima) e ne importa per 28,4. Per la Germania, invece, l’interscambio con Pechino vale ben 172 miliardi, con la Cina al primo posto assoluto tra i suoi partner commerciali e gli Usa solo al terzo. E la Francia di Emmanuel Macron, sbarcato a Pechino nel gennaio 2018, ha siglato con la Cina accordi relativi anche all’industria aerospaziale, al nucleare, all’aviazione. In barba all’imperante panico da sicurezza.
La realtà è che Merkel e Macron, hanno afferrato al volo il messaggio che la Cina di Xi Jinping vuole trasmettere, anche con questa visita in Italia così accuratamente coreografata. Ovvero, un consapevole, orgoglioso e quasi beffardo senso di potenza. Per capire meglio che cosa questo significa, bisogna risalire a quarant’anni fa quasi esatti, quando Deng Xiao Ping si recò in visita ufficiale a Singapore e fu colpito dai risultati economici della città-Stato. Da allora la Cina ha fatto progressi che forse non trovano paragone nella storia delle nazioni. Da uno dei Paesi più poveri al mondo è diventata l’unica potenza economica in grado di insidiare gli Usa. Da un Pil pro capite di 160 dollari è passata agli oltre 8 mila dollari di oggi. La curva della povertà assoluta (quella di chi vive con 1,9 dollari al giorno) è passata dal 90% della popolazione del 1981 allo 0% del 2014.
Deng Xiaoping aveva la frase folgorante e il suo motto “Facciamo diventare ricco qualcuno, per prima cosa” fu l’ultima palata di terra sulla bara del maoismo. Poi venne Jang Zemin, con il compito di scongiurare qualunque passo indietro. E dopo di lui Hu Jintao, figlio di un piccolo negoziante di tè spedito nel gulag durante la Rivoluzione culturale, preoccupato di moderare le disuguaglianze generate dalle nuove politiche. È toccato a Xi Jinping invece il grande balzo in avanti : fare “toc toc” alle porte delle maggiori nazioni del mondo e annunciare l’arrivo della Cina.
Quando è salito al vertice del potere, Xi Jinping ha coniato l’espressione “sogno cinese”, subito interpretata come una contrapposizione al “sogno americano”. A Washington (in teoria) le opportunità e la libertà dell’individuo nel coglierle, a Pechino (altrettanta teoria) le capacità dell’individuo inserite in modo armonioso nello sviluppo collettivo.
Solo dopo qualche tempo si è cominciato a notare che la paciosa espressione “sogno cinese” andava sempre insieme a quell’altra, un pò più inquietante, che parla della “grande resurrezione della nazione cinese”. In altre parole, la Cina non si nasconde più. Vuole il mondo e non ne fa neanche mistero.
La Merkel e Macron hanno capito l’antifona e, come certificato dal loro patto di Aquisgrana, difendono la Ue perché così com’è fa i loro interessi. Infatti incontreranno Xi Jinping insieme con l’ormai pensionando Jean-Claude Juncker, chiamato a stendere il verbale. E a mettere forse in agenda quello “scudo” europeo anti-Cina nel commercio e negli scambi tecnologici che consentirà loro di farsi proteggere collettivamente mentre, individualmente, continueranno a perseguire i propri interessi nazionali.
L’Europa, in effetti, farebbe bene a trovare una qualche strategia di contrasto, per affrontare l’innato protezionismo cinese e la loro tendenza corrente a manovrare le relazioni valutarie in modo da trarre sempre i più opportuni vantaggi, non sempre leciti. E così via. Non è che la Ue non abbia reagito. Nel 2017 ha rifiutato di riconoscere alla Cina lo status di “economia di mercato”, mossa che consente ai Paesi aderenti al Wto di imporre dazi sulle merci cinesi. Cosa che puntualmente avviene, tanto che i dazi europei contro la Cina sono ormai alcune decine.
Nel frattempo, però, è arrivato Donald Trump. Il quale, è vero, ha ripreso e intensificato la tradizionale battaglia commerciale degli Usa contro la Cina (ai tempi di Obama erano già 119 i dazi americani in funzione anticinese), ma nello stesso tempo ha cominciato a prendere a schiaffoni anche l’Europa con dazi (Francia e Germania ne sanno qualcosa), minacce, pretese (non fare il North Stream 2, fai la Tap, spendi per la Nato ecc. ecc.). Così l’Europa è nel guado. Il contrasto commerciale tra Usa e Cina offre buone possibilità di guadagno a spese degli Usa. La Cina investe bei denari in Europa, 110 miliardi tra il 2000 e il 2016. E a Pechino e dintorni c’è un mercato difficile e spurio quanto si vuole, ma enorme e dotato di grande passione per il Made in Europe.
Che fare? Per il momento possiamo registrare i due diversi stili. Trump, proiettato alla Casa Bianca dalla crisi di rappresentanza e selezione dei partiti tradizionali, strepita e aggredisce. Xi Jinping, ultimo erede di un sistema di cooptazione tutto interno al Partito, sorride suadente. L’uno agita il solito “o con me o contro di me”. L’altro sussurra il suo “perché non tutti insieme?”. Eccolo, al momento, l’odierno scontro di civiltà.