“Protagonisti e vittime designate”: una storiaccia in Europa che vede soccombere l’Italia. Quando il provincialismo e l’inadeguatezza delle nostre classi dirigenti degli ultimi 25 anni (figlie della tragica Seconda Repubblica di Berlusconi, Prodi, Monti e Renzi) ha creato una società frammentata ed a-democratica. Che non riesce più a programmare alcunché, tranne l’intensa pianificazione della propria “autodistruzione nazionale”. Con il vezzo di parlare sempre male dell’Italia, dei suoi conti pubblici e delle posture di costume dei suoi cittadini.

E’ interessante comprendere la profonda differenza di atteggiamento tra le classi dirigenti di paesi diversi, anche nella stessa cornice europea.

Se guardiamo all’ambito dell’Unione Europea vediamo come, i due giocatori maggiori, Germania e Francia, abbiano avuto cura entrambi nel creare (e preservare) per sé stessi aree di sovranità monetaria ad hoc (ndr. delle banche a capitale pubblico non sottoposte alla vigilanza BCE), nonostante l’apparente superamento delle monete nazionali.

La Germania ha acconsentito ad aderire all’euro, lasciando il marco, solo a patto di trasferire i regolamenti della Bundesbank alla BCE. Collocandosi, così, in una posizione di perenne vantaggio finanziario all’interno dell’UE, che si presenta come un “marco” strutturalmente sottovalutato.

La Francia, a sua volta, ha creato la sua area di supremazia monetaria detenendo le leve e definendo le regole del franco CFA. Il che gli conferisce una maggiore capacità di attutire gli shock finanziari rispetto ad altri paesi. In questo senso sono patetici quei commentatori che spiegano i 200 punti di differenziale dello spread tra Francia e Italia in termini di differenti politiche interne: il profilo finanziario estero dei due paesi è ovviamente il fattore determinante, e quello francese si avvale della sua eredità coloniale.

Rispetto a Francia e Germania (e a maggior ragione, Giappone, USA, Cina, o UK) l’Italia appare con un profilo psicologico delle classi dirigenti di tipologia “coloniale”, più affine a quello dei paesi del Terzo Mondo.

Infatti, proprio come in molti paesi dell’area CFA, anche in Italia le nostre classi dirigenti hanno ritenuto che il paese non potesse salvarsi prendendo “decisioni autonome”, che avesse bisogno di un maestro esterno, di una disciplina forzosa. Secondo una “dinamica autorazzista” da paese colonizzato, le classi dirigenti italiane hanno ritenuto di dover disciplinare il proprio popolo consegnandolo ai vincoli esterni dei mercati e di un apparato normativo gestito all’estero (specificamente a Francoforte).

Questa, sia ben chiaro, non è una lettura maliziosa degli eventi, ma semplicemente la registrazione di quanto reiteratamente affermato da quei membri delle classi dirigenti che hanno maggiormente contribuito all’attuale subordinazione: Guido Carli, Romano Prodi, e poi Mario Monti, Enrico Letta e Matteo Renzi. Nelle dichiarazioni pubbliche e nei testi consegnati alle stampe si ritrova più volte l’idea che la disciplina esterna indotta dall’UE (e dai mercati attraverso di essa) dovesse servire a contenere le pretese della gente, e a correggere quella che viene descritta in sostanza come una sorta di “innata propensione italica alla corruzione”.

Come le classi dirigenti del Gabon o del Burkina Faso alla fine della colonizzazione francese, così anche le classi dirigenti italiane della Seconda Repubblica (probabilmente misurando l’italiano medio su sé stessi) ritenevano che l’Italia non potesse ‘salvarsi da sola’ per ragioni essenzialmente morali (!?).

Alla nostra naturale propensione alla corruzione e all’inefficienza avrebbe però posto rimedio la grande mamma tedesca, che ci avrebbe rimesso in riga con qualche burbero colpo di mattarello .

Nel discorso delle élite italiane in effetti il tema dell’insufficienza, piccolezza, insignificanza, debolezza, corruzione, inefficienza dell’Italia è un tema costante. Del tutto indifferenti alla moltitudine di paesi piccoli o minuscoli che se la cavano egregiamente senza deleghe di sovranità, il refrain delle nostre classi dirigenti (da tangentopoli nel 1992 ad oggi) contemporanee  (e del loro apparato mediatico) è consistito, e consiste, nel puntare il dito costantemente sulla piccolezza e insufficienza italiana, e poi sulle nostre innate colpe morali (corruzione, sciatteria, familismo, clientelismo).

Un meccanismo – innanzitutto psicologico prima che politico – che differenzia : chi nello scenario mondiale attuale si propone come un protagonista ; e chi si propone come vittima designata.

I protagonisti” sono coloro i quali concepiscono il proprio paese come essenzialmente capace di farsi carico del proprio destino e delle proprie sorti, che non si vergogna di sé, della propria cultura, delle proprie capacità e scelte. Queste classi dirigenti sanno di avere innanzitutto un dovere nei confronti della propria popolazione, e poi possono giocare all’esterno a seconda della bisogna, ruoli più o meno concilianti, ma sempre tenendo ferme le priorità.

Le vittime sacrificali” sono, invece, quelle nazioni europee le cui classi dirigenti si pensano ad esse estranee. Ritenendo il loro stesso paese essenzialmente una “non comunità”, una realtà ormai perduta ed irrecuperabile. Come ( pensano e si comportano ) le classi dirigenti di molti paesi africani, così anche quelle italiane. Che hanno ritenuto che il loro popolo fosse incorreggibile, irredimibile, e che l’unica salvezza stesse nel delegare ad altri la sorveglianza. Riservando peraltro a sé stesse, una posizione di privilegio personale, come ufficiali di collegamento e garanti all’interno della Nazione Italia di preponderanti poteri di paesi stranieri.

Nel mondo reale, con le sue dinamiche competitive, le sorti dei paesi che si leggono come “protagonisti” e di quelli che si pensano come “vittime designate tendono, e tenderanno, a divergere sempre di più, perché gli scambi tra i primi e i secondi sono sempre scambi ineguali, che amplificano le differenze della forbice economico-produttiva. Quello che negli ultimi dieci anni è successo nella U.E. a danno del sistema Italia ed a favore della Germania.

L’autorazzismo delle classi dirigenti di un paese, nella fattispecie quella italiana, è perciò la premessa ineludibile al “naufragio” della nazione.

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L’opinione dell’economista Giuseppe Masala. L’errore tragico delle “élites italiane” (che rappresentano poco più del 3% della popolazione) convinte che, scegliendo di fare i “maggiordomi o i kapò” dell’imperialismo economico pangermanico, si sarebbero protetti personalmente acquisendo privilegi “aggratis” . Comunque, non finirà così. L’inevitabile e rovinoso crollo autonomo dell’UE, pure indipendentemente dall’azione dei cosiddetti sovranisti, non farà sconti a nessuno. Neanche a lor signori.

Non c’è dubbio che una frattura dell’Unione Europea creerebbe forti tensioni politiche fra gli stati europei : recriminazioni, traumi e crisi rabbiose, soprattutto da parte di quel gruppo di nazioni che avranno più da perdere dalla fine della Cuccagna (Germania, Olanda, Lussemburgo, Finanza scandinava, inglese e francese), e forse alimentato da rancori profondi (i greci brutalizzati dall’Europa). E’ chiaro ed evidente che c’è un rischio di guerra se si verificasse questa eventualità.

L’errore previsionale di Monti non sta però in ciò che ha detto, ma in ciò che non ha detto. Perché, non riesce a vedere oltre la sua visione ideologicizzata (cioè “liberista”) dell’Europa. Cioè, che questa Europa è chiaramente egemonizzata dalla Germania, di gran lunga il paese maggior beneficiario dei vantaggi della moneta unica e dell’unificazione del mercato finanziario e dei beni.

Una Europa sin qui sottomessa, prioritariamente, a tutte le esigenze di Berlino. Mi riferisco alla Francia costretta (di fatto) a firmare un Trattato di Aquisgrana dove solo la Germania ha tutto da guadagnare e la Francia ha tutto da perdere. Utilizzata per avere una copertura diplomatica per l’ottenimento tedesco di un seggio permanente nel Consiglio di Sicurezza dell’Onu e la possibilità di costruire un “esercito unico europeo”dove la Francia metterà a disposizione il suo deterrente nucleare, al resto penserà la, per ora, vincente “elité prussiana”

In cambio la Francia cosa otterrà? Solo del “tempo” Nulla di più che tempo,per tentare di mettere a posto i suoi conti con l’estero. Chiaramente sostenuti dai capitali dei paesi in surplus : quindi dalla Germania stessa.  Inutile dire che anche l’uscita della Gran Bretagna toglie un altro possibile appiglio tattico che avrebbe potuto rallentare la completa Germanisierung (ndr. germanizzazione) dell’Europa. Un’area economica, l’Europa ridotta, così, a un protettorato tedesco, con la “mission prioritaria” di svolgere la funzione di supporto – quale produttore a basso costo – nella global chain value (ndr. la catena produttiva di incremento del valore) dei “marchi premium” (i brand industriali) tedeschi. Come si trova riscontro nel caso di importanti porzioni del sistema industriale delle piccole/medie imprese del Nord-Italia che, ormai, lavorano in modo “monomandatario” (cioè in esclusiva) quali sub-fornitori per l’industria tedesca (ndr. con lavoratori dipendenti retribuiti con la metà degli odierni salari tedeschi), tanto da fare guadagnare agli operai italiani l’epiteto di  “lavoratori cinesi dell’Europa occidentale”.

Quello che non si domanda affatto Monti – che evidentemente nell’attuale configurazione europea vede il migliore dei mondi possibili – è a che cosa serva alla Germania tutto questoLa risposta ce l’ha data il Ministro degli Esteri tedesco Heiko Maas, qualche mese fa in un “articolo manifesto” (colpevolmente ignorato dalla nostra stampa) pubblicato da Handelsblatt (quotidiano tedesco di economia e finanza con  una tiratura media di 148.319 copie giornaliere). La realtà è che la Germania persegue una strategia politica di sganciamento dagli USA, al fine di poter giocare un “ruolo da potenza mondiale” con l’uso di alleanze a geometria variabile in giro per il mondo. Una strategia , purtroppo, gestita con la classica improntitudine culturale “prussiana”, i cui grossolani errori di valutazione “hanno sempre storicamente penalizzato” la politica estera della Germania e segnato tragicamente la storia dell’intera Europa.

Non stiamo montando nulla. E’ tutto spiegato e scritto, nero su bianco, dal ministro Heiko Maas. Che ha ammesso che la Germania surrettiziamente persegue – legittimamente dal suo punto di vista– una politica di potenza non solo economica ma anche militare.

A tal propositovogliamo parlare del vertice sui Balcani tenutosi una settimana fa a Berlino dove la Germania invitava caldamente paesi come la Bosnia, la Serbia e la Macedonia ad entrare nella UE? Vogliamo parlaredella richiesta tedesca di costruire una “portaerei europea” aggirando così il divieto imposto a Berlino di riarmarsi ? Vogliamo parlare della scoperta di una missione militare tedesca in Niger fatta dal governo all’insaputa del parlamento stesso? Tutte notizie emblematiche, di cui troppo spesso sui giornali italiani non si trova traccia  .

Sfortunatamente per tutti, pare di capire che gli altri paesi vincitori della seconda guerra mondiale (Cina, USA, UK e Russia) quel ruolo alla Germania non hanno nessuna intenzione di concederlo. Ecco, quello che non capisce Monti è che un’Europa unita “perché germanizzata” è solo foriera di guai, al pari di una rottura dell’attuale U.E. .

Così, in un caso, si rischia una guerra tra Stati europei. Nell’altro, si rischia una guerra tra l’Europa ed il resto del mondo.

La verità vera è che il danno è stata la caduta del Muro di Berlino. Altro che evento storico da festeggiare ogni anno. Perché, ha riportato in Europa il fantasma del Kaiser Guglielmo II. Solo che il Kaiser questa volta ce l’abbiamo con il caschetto biondo anziché con i baffi a manubrio.

Forse, avevano ragione il democristiano Giulio Andreotti ed il comunista Alessandro Natta a dire che riunificare la Germania avrebbe portato all’Europa una montagna di guai, invece che una nuova epoca di prosperità, pace e libertà.

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