Non solo quando riaprire, ma come. Per riprendere l’economia italiana serve cambiare paradigma della tipologia dello sviluppo, che dovrà essere compatibile con la tutela dell’Ambiente e rispettoso dei Diritti del Lavoro. La lettera aperta del Presidente della Regione Toscana Enrico Rossi.

Non solo quando riaprire, ma Il dibattito sulla fase 2 dovrebbe essere impostato non sul quando, ma sul come riaprire. Anzitutto per evitare che il rimedio sia peggiore del male. Una ricerca Irpet (Istituto regionale per la programmazione economica della Toscana) ci dice che in Toscana a causa dell’emergenza sanitaria perdiamo circa 800 milioni/1 miliardo a settimana. Il nostro PIL come regione si attesta intorno a 100 miliardi, quindi questa situazione ci spaventa: il blocco di tutte le attività produttive, il blocco del turismo.

E allora, benissimo la liquidità, come dice Mario Draghi, per impedire che le persone perdano il lavoro per responsabilità non loro; benissimo un reddito di sostegno per quelle fasce di popolazione già piagate dalla precarietà e dalla povertà; benissimo i prestiti e le garanzie alle imprese per affrontare le conseguenza di questa ibernazione. Giusta anche la domanda di una ripartenza in sicurezza per quelle imprese che stanno nella catena del valore internazionale, quelle più vocate all’export e che dovranno ricominciare gradualmente. Ma c’è una domanda di fondo. Quella di un cambio profondo di paradigma. E tocca alla politica trovare la risposta.

Mettiamola in questi termini: se l’ente pubblico, lo Stato, l’intervento pubblico in generale, non riesce a costruire in una regione come la mia qualcosa come 100.000-150.000 posti di lavoro nel settore dei beni pubblici, pensiamo davvero di cavarcela così? Pensiamo che ad un certo punto ci sarà una ripresa premendo un pulsante? Che improvvisamente ritroveremo gli stessi livelli occupazionali e lo stesso livello di produzione? Intanto una parte dei nostri apparati industriali, già in difficoltà, sarà cancellata e la ripresa non sarà così forte e accelerata come si pensa. I cambiamenti dei tempi di vita, delle abitudini, dell’organizzazione sociale al tempo dell’emergenza sanitaria lasceranno impronte durevoli.

Il 2020 sarà per la storia mondiale, economica, sociale, culturale, tecnologica, politica quella che Antonio Labriola chiamava “data sociologica”, vale a dire il momento in cui tante tendenze già in corso si concentrano in un grumo generando un punto di svolta.

A questa grande trasformazione dobbiamo far corrispondere un cambio di mentalità, di impostazione. La politica, lo Stato, le istituzioni italiane devono pensare ad un nuovo ruolo pubblico. Ad esempio, la sanità, su cui bisogna investirci di più, sulla modernizzazione degli ospedali come sulla medicina territoriale domiciliare. La ristrutturazione delle nostre città, l’assetto idrogeologico, la ricerca, l’università, le infrastrutture, e via e via. Io, come amministratore pubblico, mi sto preparando a questo.

Con un investimento di questo tipo che in Toscana vale 5 miliardi all’anno, di cui una parte rientrerebbero in termini di tasse essendo tutto lavoro alla luce del sole, sicuro. Questo tipo di azione e di intervento dello Stato può diventare la base per rimettere in moto un pezzo dell’economia. Se invece pensiamo che basti la liquidità, ho molti dubbi che si possa uscire rapidamente da questa crisi, ritornando al passato come se nulla fosse accaduto. Per pensare al futuro, bisognerà cambiare il paradigma del nostro sviluppo economico.

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